domenica 27 marzo 2016

Homework #10

Non dimentichiamo come funzionano
La realizzazione della “macchina”, intesa come artefatto, credo sia stato il passo più importante nell’evoluzione dell’uomo. Andando molto indietro nel tempo possiamo pensare alla fabbricazione della prima “macchina-trappola” per catturare la selvaggina come un’estensione e un prolungamento del corpo umano. La macchina rende un’azione più veloce, più efficiente e di conseguenza fa sì che ci sia il minimo dispendio di energia nel raggiungere lo scopo per cui la macchina è stata progettata.
L’artefatto umano è emulazione della natura che circonda l’uomo. L’artefatto nasce dalla studio e dall’interpretazione dei meccanismi della natura. Ciò porta ad una conoscenza tale dei meccanismi che rende possibile il miglioramento e l’ottimizzazione degli stessi.

Non mi spaventa e non credo che sia sbagliato utilizzare quante più macchine possibili per rendere più semplici (e possibili) le nostre azioni, che sia trovare il numero primo con più cifre al mondo o comunicare a nostro cugino in trasferta sul pianeta gemello della terra in un’altra galassia la nascita di nostra figlia Gaia. Ciò che temo è che le prossime generazioni utilizzino le “macchine” senza sapere come siano state progettate e realizzate. Poiché diventerebbero inabili allo sviluppo di nuove macchine e alla manutenzione di quelle già esistenti. Ma non demonizzo il loro utilizzo, anzi dovremmo celebrare gli inventori delle stesse come facciamo per i santi. Ma i miracoli si accettano e non vanno capiti. Le macchine, affinché la loro (e di conseguenza la nostra) evoluzione non si fermi, vanno capite a fondo. Vanno capiti i meccanismi che le mettono in funzione per poter agire su di esse e poterle migliorare, migliorando la vita dell’uomo. Perciò facciamone pure un uso smodato, ma non dimentichiamo MAI come funzionano.

martedì 22 marzo 2016

Homework #9

La macchina protagonista del libro che ho scelto come terreno di indagine (La pioggia prima che cada J. Coe) è la macchina fotografica. Nel romanzo viene raccontata ad Imogen la sua storia, la storia di sua madre Thea e di sua nonna Beatrix. A raccontarla è sua zia Rosamond attraverso venti fotografie scattate nel corso degli anni a luoghi e volti che appartengono alle tre donne. Al centro l'innaturale rifiuto dell'esser madre e la sua ereditarietà.  

"Mi risulta difficile guardare questa fotografia. E' stata scattata da mio padre, con la sua macchian fotografica a scatola, una domenica pomeriggio."

"Sta sfidando la macchina fotografica, cerca di costringerla a una qualche reazione."

"La fotografia rievoca tutto questo. Eppure, talvolta le immagini che ricordiamo, quelle che sono impresse nella nostra mente, possono essere più vivide di qualsiasi cosa una macchina fotografica sia in grado di fissare sulla pellicola."

"Questa l'ho scattata io, con la mia macchina fotografica.... con Thea che è solo un piccolo oggetto in essa contenuta."

"La foto è stata scattata dall'alto della montagna prospiciente la baia, in una giornata di cielo coperto."

"Non riesco a ricordare chi scattò questa foto, esattamente - una delle altre laureate, dobbiamo supporre. Ero stata presentata ai genotori di Rebecca come la sua 'amica' e loro parvero prendere la definizione alla lettera"

"In questa fotografia, Beatrix e io non siamo sedute vicine sulla panchina. C'è uno spazio di quasi due spanne tra di noi"

"Poco dopo che fu scattata questa quattordicesima fotografia , i miei rapporti con Beatrix peggiorarono drasticamente."