Non dimentichiamo come funzionano
La realizzazione della “macchina”, intesa come artefatto,
credo sia stato il passo più importante nell’evoluzione dell’uomo. Andando
molto indietro nel tempo possiamo pensare alla fabbricazione della prima “macchina-trappola”
per catturare la selvaggina come un’estensione e un prolungamento del corpo
umano. La macchina rende un’azione più veloce, più efficiente e di conseguenza
fa sì che ci sia il minimo dispendio di energia nel raggiungere lo scopo per
cui la macchina è stata progettata.
L’artefatto umano è emulazione della natura che circonda
l’uomo. L’artefatto nasce dalla studio e dall’interpretazione dei meccanismi
della natura. Ciò porta ad una conoscenza tale dei meccanismi che rende
possibile il miglioramento e l’ottimizzazione degli stessi.
Non mi spaventa e non credo che sia sbagliato utilizzare
quante più macchine possibili per rendere più semplici (e possibili) le nostre
azioni, che sia trovare il numero primo con più cifre al mondo o comunicare a
nostro cugino in trasferta sul pianeta gemello della terra in un’altra galassia
la nascita di nostra figlia Gaia. Ciò che temo è che le prossime generazioni
utilizzino le “macchine” senza sapere come siano state progettate e realizzate.
Poiché diventerebbero inabili allo sviluppo di nuove macchine e alla
manutenzione di quelle già esistenti. Ma non demonizzo il loro utilizzo, anzi
dovremmo celebrare gli inventori delle stesse come facciamo per i santi. Ma i
miracoli si accettano e non vanno capiti. Le macchine, affinché la loro (e di conseguenza
la nostra) evoluzione non si fermi, vanno capite a fondo. Vanno capiti i
meccanismi che le mettono in funzione per poter agire su di esse e poterle
migliorare, migliorando la vita dell’uomo. Perciò facciamone pure un uso
smodato, ma non dimentichiamo MAI come funzionano.
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